A un anno esatto dal
lancio del primo quantitative easing
in Eurozona, anche a causa della caduta del prezzo del petrolio e delle materie
prime (che allontana le aspettative di risalita dell’inflazione) e del
rallentamento dell’economia globale, gli effetti sull’inflazione degli acquisti
di 60 miliardi mensili di titoli da parte della Banca Centrale Europea, stentano
a farsi sentire. Stessa cosa vale anche per il credito nei vari paesi che,
seppur con differenti peculiarità, stenta a ripartire.
In particolare, l’inflazione
è ai minimi di marzo dello scorso anno e
anche le aspettative a cinque anni si sono fortemente indebolite. Tant’è che
nell’ultima riunione l’istituzione di Francoforte ha rivisto ferocemente al
ribasso le previsioni di inflazione per il 2016 (passano a 0.1% dall’1% di dicembre
scorso), mentre le previsioni di crescita
passano da 1.7% a 1,4%.
A coloro che nelle
ultime settimane hanno sollevato dei dubbi sull’efficacia dell’azione della BCE
che, come noto, è anche volta a ristabilire livelli di inflazione vicini al
target della banca centrale fissato al 2%, ha risposto il Vice Presidente della
Banca Centrale Europea che, con una lettera pubblicata sul sito dell’Eurotower,
richiamando la necessità di esaltare gli effetti della politica monetaria
(ultra)accomodante con riforme strutturali nei vari paesi, ha affermato:
È
tuttavia razionale ed essenziale esaminare cosa sarebbe accaduto se la politica
non fosse mai stata adottata. Sulla base di svariati modelli gli esperti della
BCE hanno stimato che senza le nostre misure l’inflazione sarebbe stata
negativa di un terzo di punto percentuale nel 2015 e sarebbe rimasta
significativamente negativa nel corso del 2016; in altre parole, saremmo in
deflazione permanente dallo scorso anno. Abbiamo quindi ottenuto un risultato
significativo. Va ricordato che l’esito finale ha risentito di un calo inatteso
del prezzo del petrolio del 30% tra settembre e dicembre. Stimiamo che due terzi di un punto percentuale della crescita
registrata negli ultimi due anni è riconducibile alla nostra politica
monetaria. Tuttavia, ciò che abbiamo conseguito in termini di stimolo alla
domanda interna è stato annullato dalla successiva riduzione delle esportazioni
nette in un contesto di rallentamento dell’economia mondiale. Questi andamenti
non hanno reso meno efficace la nostra politica monetaria, ma solo
insufficiente, a posteriori, rispetto all’esito auspicato.
E' questo lo scenario nel quale è maturata la decisione di
implementare misure aggiuntive che, tuttavia, non hanno trovato il favore di
quattro membri del Consiglio Direttivo.
Le misure che sono state adottate appaiono significative,
robuste e, disegnando un sistema articolato di incentivi molto premiante per le
banche, evitando di comprimerne la
redditività.
Esse sono:
1) E’ stato ridotto di 5 punti base il tasso di interesse sulle
operazioni di rifinanziamento principali dell'Eurosistema che, a decorrere
dall'operazione con regolamento il 16 marzo 2016, passa a 0,00%;
2) E’ stato ridotto
di 5 punti base anche il tasso di interesse sulle operazioni di
rifinanziamento marginale che, con effetto dal 16 marzo 2016, passa a 0,25%;
3) Sempre con effetto
dal 16 marzo 2016, il tasso di interesse
sui depositi presso la banca sarà diminuito di 10 punti base a -0.40%;
4) E’ stato aumentato
l’ammontare di acquisti mensili di titoli da 60 miliardi di euro a 80 miliardi.
E questo con effetto dal mese di aprile;
5) Le obbligazioni
investment grade emesse da società non bancarie stabilite nella zona euro
saranno incluse nella lista dei titoli che possono beneficiare di acquisti
regolari.
6) E’ stata aumentata
la percentuale di titoli acquistabili per singolo emittente/emissione sovranazionale che passa dal 33% al 50%. Inoltre, a partire
da aprile 2016 la quota di tali titoli acquistati nell'ambito del PSPP sarà
ridotto dal 12% al 10% su base mensile. Per contro, per mantenere il regime di
condivisione del rischio del 20%, la quota di acquisti mensili della BCE sarà aumentata dall'8% al 10%;
(6) In ultimo a
partire da giugno 2016 e con cadenza trimestrale, saranno effettuate quattro
nuove TLTRO (Targeted Long TermT Refinancing Operation), ciascuna della durata
di 4 anni.
Con una nota la Bce ha
chiarito che l’incremento di acquisti mensili
di titoli (+20mld) avrà inizio dalla fine del secondo trimestre, e quindi si
estenderà fino a marzo 2017. Ciò porta
ad ampliare la dimensione del quantitative
easing di circa 200 miliardi. Pertanto, nel suo complesso, il Qe dovrebbe
raggiungere circa 1700 miliardi di euro, anche se la scadenza prevista per
marzo 2017 potrebbe essere ulteriormente differita, nel caso di ulteriori
rivisitazioni al ribasso delle stime di inflazione e di crescita.
Con l’inclusione di
obbligazioni corporate investment grade, di fatto, la Bce diventa prestatore di
imprese private superando il sistema bancario, e quindi, implicitamente, assume
anche il rischio credito. Tuttavia, il sistema bancario dovrebbe trarre un indiretto
beneficio da questa misura per via della riduzione del costo del funding,
qualora la riduzione dei tassi di
interesse su questo segmento di obbligazioni si trasmetta al settore bancario.
Inoltre questa misura dovrebbe incoraggiare
la riallocazione di portafogli verso asset più rischiosi, proprio per
via della compressione dei rendimenti.
Per quanto riguarda le
quattro operazioni di rifinanziamento di durata quadriennale (TLTRO II), queste
si terranno trimestralmente a partire dal prossimo giugno e quindi a giugno,
settembre, dicembre e quella finale si terrà
a marzo 2017. Ciò significa che le banche godranno di questa liquidità
fino a marzo 2021, in quanto i prestiti accesi, contrariamente alle prime TLTRO
del 2014, non dovranno essere rimborsati
in anticipo nel caso di mancata concessione di prestiti (la facoltà di rimborso
anticipato è prevista dopo due anni, ma rimane comunque una facoltà). In
buona sostanza, per via di queste misure, le banche, potendosi finanziare fino
ad un massimo del 30% dei prestiti ammissibili in essere (cioè quelli concessi
a famiglie ad esclusione dei mutui per l’acquisto di abitazioni e società non
finanziarie dell’area euro), ottengono anche un significativo aiuto a
rifinanziare il proprio debito in scadenza. Inoltre, introducendo un forte
meccanismo premiante, le banche saranno incentivate all’erogazione del credito,
aumentando la redditività e recuperando margini di interesse proprio in virtù
del meccanismo di incentivazione. Infatti, se da un lato le banche potranno
chiedere liquidità a tasso zero (cioè quello del rifinanziamento principale),
dall’altro, questo tasso, qualora la liquidità ottenuta venga utilizzata per
allargare i prestiti netti nella misura superiore al 2.5% del proprio benchmark (calcolato in base
ai prestiti netti erogati al settore privato nei 12 mesi precedenti alla data
del 31 gennaio 2016) il tasso di interesse potrebbe scendere fino al tasso sui
depositi (-0,40%). Detta in altre parole, le banche, ricorrendo le condizioni
appena dette, potrebbero essere pagate
(dello 0.4%) per concedere prestiti. In buona sostanza, l’innovazione
introdotta dalla Bce con questa misura, che non ha precedenti nella politica
monetaria di altre banche centrali, contribuisce ad alleviare i timori per la
scarsa redditività delle banche, in quanto la penalità prevista per il tasso
negativo sui depositi (-0.40%) viene mitigata dalla possibilità, concessa alle
banche, di essere pagate per concedere credito.
Le nuove misure di
politica monetaria, potranno funzionare? Non lo sappiamo, ma lo scopriremo. Anche
se gli incentivi a prestare sono significativi, le decisioni assunte dalla Bce
potranno aver successo nella misura in cui risulterà vigorosa la domanda di credito
dal settore privato e nella misura in cui le banche avranno il coraggio di
prestare.
A tal proposito vale la pena leggere l'analisi di Fabio Bolognini su Linkergblog
Non prendete a scatola chiusa i commenti frettolosi che state leggendo sulla stampa dopo la decisione non unanime della BCE di abbassare i tassi di rifinanziamento e di offrire alle banche una nuova potente iniezione di liquidità con quattro operazioni speciali (TLTRO II). Se quasi tutti i commentatori vedono in questa combinazione uno stimolo immediato alla concessione di credito all’economia reale e soprattutto alle imprese, molto del risultato dipenderà dal coraggio delle banche nel modificare un atteggiamento sin qui totalmente prudenziale. Basti come esempio pensare alle prime operazioni TLTRO offerte alle banche dalla BCE che dovevano rilanciare i prestiti alle imprese. La propensione a concedere credito sarà anche aumentata a parole (indagini BLS) in Italia ma nei numeri non si è visto ancora nulla: il credito alle imprese è inchiodato al livello di circa 800 miliardi e non cresce.
In sintesi la manovra BCE immetterà nel circuito bancario europeo altri mezzi per un totale stimato fino a 2.200 miliardi, alle banche vengono offerte quattro finestre temporali per richiedere fondi a 4 anni a tasso vicini o addirittura sotto lo zero. Le richieste possono arrivare per ciascuna banca anche al 30% degli attivi impiegati in prestiti alla clientela. Tanta roba. Ma se la prima ondata di liquidità non ha funzionato per le imprese, soprattutto piccole, perché dovrebbe farlo questa seconda?
Per rispondere prima è necessario comprendere cosa è successo a seguito della crisi finanziaria e del credit-crunch bancario. Una sequenza illustrata nella figura successiva.
In ciascun grafico le curve mostrano la distribuzione dei volumi di credito per differenti classi di rischio misurate dal rating, a sinistra le classi migliori a destra le peggiori.
Sino al 2011 il credito, come noto, è stato erogato generosamente dalle banche italiane alla gran parte delle imprese (area verde).
A partire dal 2011 le banche hanno cominciato a reagire all’aumento vorticoso di incagli e sofferenze e nello stesso tempo i cattivi risultati delle imprese hanno traslato il loro profilo di rischio verso destra. Le politiche di concessione del credito sono diventate più rigorose e il risultato della traslazione e del peggioramento dei bilanci delle imprese è stata la marcata riduzione dell’area verde di concessione. Il noto credit-crunch.
La riduzione è stata ancora più violenta per le piccole imprese, a cui è destinato circa il 20-25% del credito totale (box in basso a destra). L’area rossa è diventata molto più ampia e questo spiega il costante calo del credito alle piccole imprese che si sta ancora registrando. Si vede benissimo questo effetto prendendo la tavola 27 della presentazione dei risultati 2015 di UBI Banca che mostra come gli impieghi alle grandi imprese siano cresciuti nel 2015 del 9,8% in un anno mentre quelli alle piccole imprese siano scesi ancora del 2,7%.
La liquidità gratuita offerta dalla BCE potrebbe cambiare qualcosa però. Uno dei motivi per cui le banche non prestano molto alle imprese è che il margine (spread) spesso non copre il costo, un costo formato dalla somma del costo del rischio, dai costi del servizio e dal costo della raccolta. Abbassando il costo della raccolta a zero il margine dovrebbe ampliarsi e consentire a una maggiore fetta di imprese di ricevere credito. Nel caso di MPS la tabella sempre presa dai risultati 2015 e il grafico aggiunto da chi scrive mostrano di cosa stiamo parlando:
Le banche oggi raccolgono denaro in perdita, circa 80-90 bp nel caso di MPS che paga poco ai correntisti e molto agli obbligazionisti. Lo spread ai clienti nel frattempo si è abbassato per la discesa dei tassi passando da 281 a 256 bp (ovvero 2,56%). Se MPS non dovesse più pagare la raccolta obbligazionaria prendendo sempre denari a costo zero dalla BCE il suo margine complessivo aumenterebbe da 250 a 330 bp.
Da notare come l’abbassamento dei tassi alla clientela appare nei numeri molto inferiore a quello dichiarato da molte altre statistiche: solo mezzo punto percentuale sui prestiti a breve e 1/8 di punto sui prestiti a medio termine. Insieme al calo degli impieghi non si può dire che la BCE abbia contribuito molto a rilanciare i finanziamenti all’economia reale con la sua prima manovra TLTRO. Ha aiutato soprattutto le banche ad acquistare titoli di Stato lucrando il differenziale di tasso e a riacquistare obbligazioni proprie a sconto. All’economia reale sono arrivate briciole.
L’effetto del secondo diluvio di liquidità potrà arrivare alle imprese solo se le banche adotteranno una politica di concessione meno timorosa, come cerca di spiegare il prossimo grafico.
Qualora per effetto dell’azzeramento del costo della raccolta le banche trovino convenienza ad espandere l’area verde verso destra aumenterà ma questo avverrà soprattutto per le grandi e medie imprese. Certamente occorre che i risultati delle imprese migliorino (con i bilanci 2015 disponibili tra pochi mesi) e che le banche si tolgano di dosso il terrore dei rating. Non è scontato, non lo è per tutte le banche.
Ancora meno certo che le banche vogliano espandere l’area verde per le piccole imprese prendendo rischi più alti e meno controllabili (il presidio sulle piccole imprese è tuttora pessimo). Da qui il bel punto di domanda inserito nel grafico.
Quello che è sicuro è che se le banche non prendono coraggio di uscire dalla tana e andare a selezionare le imprese nella zona di maggiore rischio non riusciranno a procurarsi margini interessanti e volumi maggiori. Nell’area verde di sicurezza i nomi di imprese che cercano altro debito sono pochi e sono noti, tutte le banche stanno offrendo denaro alle stesse imprese e gli spread sono crollati. I margini interessanti sono invece reperibili dove c’è ancora rischio e dove conta l’abilità della banca nel selezionare imprese con lungimiranza.
Per le piccole imprese resta anche l’aiuto che arriverà alle banche dal Fondo Centrale di Garanzia, dopo la riforma del sistema di concessione che è in arrivo e che potrebbe rivelarsi una cattiva sorpresa per le banche: meno garanzie dove c’è poco rischio, percentuali di garanzia più alte dove invece occorre rischiare anche per la banca.
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