Al netto del significato "romantico" di un premier che chiama il suo popolo ad esprimersi a proposito del
futuro del paese, non capisco proprio il significato razionale del referendum
in Grecia. Non sto dicendo che sia un errore lasciare che gli elettori possano
esprimersi su questioni di fondamentale importanza, come quella che riguarda il
quesito referendario posto dal governo di Atene. Ma esistono quantomeno molte
contraddizioni sull'operato del governo e, quindi, di conseguenza, anche sulla
soluzione referendaria proposta, che soluzione non è. Questo è tanto più vero
che se si considera che Syriza ha vinto le elezioni proprio grazie alla
promessa di attenuare l'austerità. Va da sé che, sotto questo punto di vista,
Tsipras gode già di un mandato popolare conferitogli dagli elettori lo
scorso gennaio.
A seguito della vittoria di
Tsipras è iniziata un'estenuante trattativa che dura ormai da 5 lunghi mesi e
che, secondo la mia modesta opinione, appare a dir poco priva di logica e
strategia. Nel frattempo la situazione economica in Grecia si è deteriorata
ulteriormente: i gettiti tributari si sono manifestati ben inferiori a quelli
programmati dal governo, i soldi in cassa sono finiti o quasi, i
risparmiatori hanno ritirato decine di miliardi di euro dalle fragili banche
(fino a questo momento tenute in vita dalla BCE) e si è disposta la
chiusura degli sportelli per una settimana (ma la riapertura potrebbe essere ulteriormente differita) con l'introduzione di misure di
controllo dei capitali, ed è aumentato notevolmente anche il disagio del popolo greco.
La storia recente dice che, ad un
certo punto, avendo promesso la fine dell'austerità (ma anche la
permanenza nell'euro), Tsipras chiama a raccolta il suo popolo e dice:
"Cari concittadini greci, è vero che, durante la campagna elettorale, era
stata promessa la fine dell'austerità e, al tempo stesso, la permanenza della
Grecia nell'euro, ma avevamo fatto i conti senza l'oste. Quindi, non posso fare
altro che alzare le mani e fare decidere a voi stessi cosa dovrà esserne
del vostro futuro, ringraziandovi di avermi votato alle scorse elezioni". Quindi indice il referendum per il prossimo 5 luglio, invitando gli elettori greci ad
esprimersi se vogliono accettare il piano proposto dai creditori (quindi ancora
austerità) oppure rigettarlo.
Ora, tenuto conto che la
grandissima parte degli elettori potrebbero non avere la giusta cognizione di
causa su cosa potrebbe comportare un espressione di voto piuttosto che
un'altra (cosa che, come ben sapete, accade anche in Italia), fare un
referendum di questa importanza, in 5 giorni, è un po' come voler dire: caro
bambino, preferisci il gelato o lo sciroppo medico. E' ovvio che il bambino
risponda Il gelato. Quindi, abbandonando la metafora, è probabile che vincano i
"NO" e che vengano rigettate le proposte della Troika.
Ma se ciò non
dovesse accadere, ossia nel caso in cui dovessero vincere i "SI", cosa accadrebbe?
In questo caso si aprirebbe uno scenario per nulla rassicurante, perché, come
affermato dallo stesso Tsipras, il governo potrebbe dimettersi e quindi si
potrebbe andare a nuove elezioni con tutte le incognite del caso, qualora la
votazione dovesse restituire una maggioranza che non è detto sia sulla stessa
posizione determinata dai risultati del referendum del prossimo 5 luglio. Insomma, caos su caos.
Nel
frattempo, con chi dovrebbero trattare le autorità europee se il governo dovesse dimettersi? La questione è aggravata anche dal fatto che il prossimo 20
luglio Atene dovrà rimborsare alla BCE circa 3,5 miliardi di euro. E mancare il
rimborso alla BCE non ha lo stesso significato del mancato rimborso verso il
Fondo Monetario Internazionale di appena due giorni fa, visto il potere di vita o di morte che la BCE
esercita sulle banche greche. Insomma, nel caso dovessero vincere i
"SI", nella migliore delle ipotesi, si avrebbero comunque non pochi
problemi. Che sono tuttavia imparagonabili rispetto a quelli che si avrebbero
se il fronte del "NO" avesse la meglio.
Se Tsipras afferma che votare NO
al referendum non significa votare contro l'euro, dovrebbe spiegare con
quali strategie intende rimanere all'interno dell'Eurozona. Ovvero
dovrebbe spiegare in che modo intende onorare il debito scaduto due giorni fa e
le rate che verranno a scadere nelle prossime settimane, che sono ben più
impegnative rispetto a ciò che non è stato rimborsato al Fondo Monetario
Internazionale appena due giorni fa. Dovrebbe anche spiegare in che modo
vorrebbe salvare il sistema bancario che è praticamente al collasso, e
soprattutto dovrebbe dire al popolo greco con i soldi di chi, vista la non remota possibilità che questo avvenga per tramite i risparmiatori greci (bail-in).
Tsipras pensa che, se dovessero
vincere i NO, il governo greco guadagnerebbe forza contrattuale da spendere con
la Troika che, a quel punto, secondo questa logica, assumerebbe un
atteggiamento più tollerante e sarebbe meno ostile verso nuove concessioni.
Ma attenzione: il punto è proprio
questo ed è assai pericoloso, non meno dell'uscita di Atene dalla zona euro.
In questi anni di crisi si è
visto che, in molti paesi, il processo democratico è stato fortemente alterato,
solo per usare un eufemismo. E la vita politica di ciascun paese, se vogliamo,
ha subito delle manifeste prevaricazioni ad opera di istituzioni europee che,
in nome della salvezza dell'euro da se stesso, ha imposto a buona parte del
continente manovre di austerità, solo da alcuni mesi parzialmente compensate
dall'interventismo della Bce.
In altre parole,
l'austerità è stata imposta per ridurre gli squilibri strutturali tra i vari
paesi ed ha consentito alla BCE di assumere un
atteggiamento più interventista rispetto a quello avuto fino all'arrivo di
Mario Draghi alla presidenza della banca centrale.
Ora, ritornando al caos greco, se
dovessero vincere i NO, dal mio punto di vista, sarebbe assai illusorio pensare
che la Troika possa prendere atto della volontà del popolo greco (contrario
all'austerità) e riformare il sistema di governo che ha adottato fino a questo
momento. Perché, altrimenti, ciò significherebbe aprire uno squarcio profondo
proprio nella credibilità delle istituzioni eruopee (ammesso che ne abbiano),
confinandole in una posizione di debolezza nei confronti di quelle
espressioni di volontà popolare troppo spesso e con troppa facilità etichettate
come "populiste". Oggi, secondo questa logica, alla luce di una
possibile vittoria dei "NO", le istituzioni europee dovrebbero
assumere un atteggiamento più clemente e quindi fare delle concessioni alla
Grecia. Ma ciò non esclude il fatto che domani potrebbe essere la volta del
Portogallo, della Spagna o dell'Italia. Ecco quindi che si verificherebbe un
precedente che, in proiezione futura, potrebbe essere fortemente
destabilizzante.
L'alternativa è quella
dell'uscita di Atene dalla moneta unica.
L'uscita della Grecia dall'euro creerebbe un precedente che
abbatterebbe il dogma dell'irreversibilità dell'euro. L'integrazione europea, di fatto,
diverrebbe reversibile. Ciò
significa che agli altri membri della zona potrebbero essere tentati di
abbandonare la moneta unica: non necessariamente nell'immediato ma,
eventualmente, in occasione di qualche prossima crisi.
Gli investitori non europei, alla luce della reversibilità della
moneta unica, assumerebbero
un atteggiamento molto più cauto e quindi sarebbero meno disposti ad investire
in un determinato paese che potrebbe abbandonare la moneta unica determinando
la svalutazione dell'investimento.
C'è poi il
rischio di contagio, con la possibilità di vedere aumentare il premio di rischio per i paesi
considerati a rischio. Naturalmente,
la BCE, oggi, dispone di un
discreto arsenale per contrastare il rischio contagio, ma credo che lo shock
sarebbe comunque inevitabile e non è affatto detto che la banca centrale riesca ad evitarlo.
Ma, in ogni caso, il danno più grande che determinerebbe
l'eventuale uscita della
Grecia dall'euro è quello derivante dall'arrestarsi della speranza di una maggiore integrazione della zona euro finalizzata a rendere ottimale quest'area valutaria in modo da poter compensare al proprio interno gli effetti prodotti da
shock economici. Integrazione che più volte, anche di recente, lo stesso Mario
Draghi ha ribadito essere di fondamentale importanza per rendere l'euro
effettivamente irreversibile.
Al netto delle responsabilità
che, secondo la mia modesta opinione, stanno da entrambe le parti, la vicenda
greca si sta concludendo nel peggior modo possibile. Tutta la sua gestione, da
5 anni a questa parte e, ancor prima, con l'entrata nell'euro del paese
ellenico, è stata un susseguirsi di errori clamorosi commessi soprattutto dalla
nomenclatura politica europea. Come che sia, sotto questo punto di vista,
tenuto conto che la Grecia esprime appena il 2% del Pil dell'intera Eurozona,
la bilancia delle responsabilità pende principalmente da parte tedesca per la manifesta incapacità di gestire un focolaio di crisi che nel frattempo si è trasformato in un vero e proprio incendio di grandi proporzioni. E
questo, per coloro che invocano che occorrerebbe più Europa, che occorrerebbe
un'Europa unita e che ritengono che la Germania debba e possa assumere un ruolo
di leadership nella convergenza degli Stati europei verso quell'integrazione
che, come dicevamo, lo stesso Draghi ritiene essere di fondamentale importanza
per la sopravvivenza della moneta unica , dovrebbe indurre alla conclusione
che questa unione monetaria è oggettivamente non riformabile per
manifeste incapacità e carenti volontà politiche.
Il popolo greco non ha capito per cosa votera'. Tenere l'Euro e rinunciare all'austerita' imposta dalla Troika e' un ossimoro ma ancora non ci arrivano. Tsipras non aveva un piano prima e ancora brancola nel buio adesso e probabilmente vinceranno, in un modo o nell'altro, i si.
RispondiEliminaDetto questo, immagino che la Grecia verra' uletriormente commissariata, impoverita e distrutta.
E a distanza di qualche giorno, e dopo il referendum, vediamo che nonostante la vittoria del NO, Varoufakis si e' dimesso, Tsipras sta accettando quelle condizioni che il popolo greco ha appena detto a larga maggioranza di non voler accettare. E pensavo a questo scenario quando dicevo che in un modo o nell'altro avrebbe vinto il SI. In questa Europa dove ti fanno votare per farti capire che, alla fine, il tuo voto non serve a nulla e decidono i padroni. Spaventoso.
EliminaPer tradizione i greci sono LEVANTINI (termine per indicare persone astute, particolarmente abili nel commercio, di modi espansivi, istrionici ed accomodanti, simpatici, esperti e scaltri ma mai spietati affaristi - Wikipedia).
RispondiEliminaDopo avere richiesto 100 otterranno 3 ed andranno in bancarotta (è solo una commedia tragica e inutile) .
Concordo con la tua analisi.
EliminaAggiungo: cosa avevano in comune (nello scorso secolo) la Grecia, l'Italia, la Spagna,il Portogallo..............e stranissimo ma vero la Germania?
Historia se repetit sosteneva un famoso filosofo napoletano .................cambiano solo i nomi.
Io penso che se un paese di qualche milioni di abitanti tiene in sospeso la finanza continentale e non solo significa che il baraccone prima o dopo crollera'. Se invece e' solo l'ennesima occasione di ingrassare la speculazione professionale e' ancora peggio. In ogni caso io penso che e' solo questione di quando e non di se.............la baracca fondata sui debiti che alimenta il consumismo-capitalismo ha i decenni (pochi) contati. Questione puramente tecnico-contabile , non altro. Parlo come controller, non da tifoso dell'uno o dell'altro. L'imbecillita' umana e' ben rappresentata da una tragedia greca......ma universale.
RispondiEliminaPaolo, sempre grazie per i tuoi articoli.
RispondiEliminaAggiungo un'eventuale scenario, da non sottovalutare.
Tsipras può anche giocarsi la carta dell'uscita dalla NATO: per contro entrano capitali Russi per risollevare banche ed economia, e la Grecia riparte.
Poco probabile ma non impossibile.
L'Europa rimarrebbe davvero con il cerino in mano.