Come era facile da
prevedere, gli elettori greci, a stragrande maggioranza, hanno votato a
favore del NO rigettando le proposte dei creditori. Per l'eurozona, il
risultato del referendum in Grecia rischia di assumere un significato politico
devastante e di difficilissima soluzione. Cercherò di valutare i
possibili sviluppi, tenendo conto che la situazione è assai fluida ed incerta.
A seguito del risultato del referendum, allo
stato attuale, un accordo con i creditori appare poco probabile. Nonostante le
affermazioni del governo greco (che dice di voler tornare al tavolo delle
trattative), altri paesi membri dell'eurozona (quelli del nord, con Germania in
testa) non sembrano propensi a prendere in considerazione la possibilità di
avere un atteggiamento più morbido nei confronti della Grecia. I motivi sono
sostanzialmente due:
Il primo:Le relazioni tra le parti del
negoziato sono ormai caratterizzate da un basso livello di fiducia, che rende più
difficile la trattativa. Non a caso, proprio ieri, il ministro delle finanze
Varoufakis si è dimesso, a suo dire, proprio per facilitare il negoziato, ed è
stato sostituito da Tsakalotos
Il secondo, che ho già scritto nel post precedente: "se dovessero vincere i
NO (come in effetti hanno vinto, ndr), dal mio punto di vista, sarebbe assai
illusorio pensare che la Troika possa prendere atto della volontà del popolo
greco (contrario all'austerità) e riformare il sistema di governo che ha
adottato fino a questo momento. Perché, altrimenti, ciò significherebbe aprire
uno squarcio profondo proprio nella credibilità delle istituzioni europee
(ammesso che ne abbiano), confinandole in una posizione di debolezza nei
confronti di quelle espressioni di volontà popolare troppo spesso e con troppa
facilità etichettate come "populiste". Oggi, secondo questa logica,
alla luce di una possibile vittoria dei "NO", le
istituzioni europee dovrebbero assumere un atteggiamento più clemente e quindi
fare delle concessioni alla Grecia. Ma ciò non esclude il fatto che domani
potrebbe essere la volta del Portogallo, della Spagna o dell'Italia. Ecco
quindi che si verificherebbe un precedente che, in proiezione futura, potrebbe
essere fortemente destabilizzante".
Alla luce di queste considerazioni, appare
poco probabile che le autorità europee possano convergere verso una posizione
significativamente più accomodante che possa essere accettata dal governo
ellenico, forte del risultato (quasi plebiscitario) ottenuto con il referendum
di domenica. Anche perché, come detto, in caso contrario, si creerebbe un
precedente che, in futuro, potrebbe
essere invocato anche da altri paesi.
Quindi, le prospettive per
un accordo nel breve termine appaiono significativamente indebolite, anche
se il deteriorarsi della situazione economica in Grecia potrebbe spingere il
governo ellenico verso una nuova richiesta di aiuti al fondo ESM, per via del
fatto che il piano precedente è ormai scaduto lo scorso 30 giugno. Ma in questo
caso, ammesso che esista la volontà politica di giungere ad un nuovo
accordo di salvataggio, i tempi potrebbero non essere così solleciti, anche per
via del fatto che, ad esempio, in alcuni paesi, per l'intervento del fondo ESM,
è prevista l'approvazione da parte dei rispettivi parlamenti.
Alla luce del risultato del referendum e
dello stallo sul fronte dei negoziati, proprio ieri la Bce ha deciso di non
aumentare liquidità di emergenza alle banche greche e, al tempo stesso,
ha ristretto il livello dei collaterali accettati a garanzia. In buona
sostanza si tratta di una decisione del tutto prevedibile e, se dovesse essere
confermata anche nei prossimi giorni, è chiaro che la Grecia verrebbe spinta
fuori dall'euro per via del fatto che molte banche sono ormai al collasso e, in
mancanza di nuova liquidità fornita dalla BCE, il governo non avrebbe altra
alternativa che nazionalizzare le banche emettendo nuova moneta.
A dire il vero, nello stallo della
situazione, esiste un'altra alternativa, chiamiamola "coercitiva". Ed
è quella verso la quale, a parer di chi scrive, sta spingendo le autorità
europee al fine di esercitare pressioni sul governo ellenico in modo da indurlo
ad accettare la proposta dei creditori da una parte, e, dall'altra,
lanciare un monito verso quei paesi che dovessero essere
"accarezzati" dal desiderio di abbandonare la moneta unica: il
salvataggio delle banche a carico dei risparmiatori, i cui depositi verrebbero
utilizzati per il salvataggio del sistema bancario ellenico. Ma la distruzione
di tanto risparmio è qualcosa di politicamente insostenibile, quindi la BCE, in
assenza di un accordo, stringendo il cappio della liquidità intorno alle banche
greche, riduce drasticamente la possibilità di azione del governo greco a 3
alternative possibili:
1) accetta un nuovo piano di aiuti e rimane
nell'eurozona (per quanto tempo, non si sa)
2) Non accetta il piano di aiuti pur volendo
rimanere nell'eurozona: in questo caso il bail-in diventerebbe pressoché
scontato.
3) Abbandona l'euro e nazionalizza le banche
greche.
Nonostante la chiusura delle banche e
l'introduzione di misure di controllo dei capitali, le banche greche stanno
soffrendo fortissime pressioni sulla liquidità. Quindi se la BCE dovesse
continuare a garantire gli attuali livelli di ELA (o, peggio, se dovesse
ridurli) la situazione per il sistema bancario greco diventerebbe esplosiva.
Giacché sarà ulteriormente limitata la liquidità per l'economia, questo
aggraverà la situazione economica della Grecia che è già pesantissima e, come
detto, potrebbe spingere il governo ellenico o ad introdurre una moneta
parallela o ad abbandonare l'euro.
Al tempo stesso, il governo sta esaurendo
di denaro in cassa, ha difficoltà a far fronte ai pagamenti nazionali e il
prossimo il 20 luglio dovrà rimborsare 3.5 miliardi alla BCE. Come già detto,
il mancato rimborso alla Bce avrebbe effetti ben più gravi rispetto a quelli
determinati dal mancato pagamento al Fmi dello scorso giugno, poiché, a quel
punto, la BCE potrebbe ritirare la liquidità di emergenza concessa alle banche
greche.
In queste
circostanze, il governo greco potrebbe introdurre una moneta parallela: una sorta di pagherò che potrebbe essere
scambiato all'interno del perimetro nazionale. Tuttavia, questo non
risolverebbe la crisi di liquidità del sistema bancario greco, che comunque
andrebbe ricapitalizzato. In queste condizioni, salvo colpi di scena, lo
scenario più probabile resta quello dell'uscita dalla Grecia dalla moneta unica
e la conseguente nazionalizzazione delle banche, salvo che non venga effettuato
un prelievo straordinario sui conti correnti (ipotesi probabile).
Ma se Tsipras ha chiamato il referendum per sottoporre all'elettorato greco la questione del piano di aiuti dei creditori, a rigor di logica dovrebbe indire un altro referendum per l'eventuale uscita della Grecia dalla zona euro, i cui esiti potrebbero divergere dal risultato referendario sancito domenica scorsa. Ecco quindi che si aprirebbero degli scenari del tutto inediti e inimmaginabili allo stato attuale, che renderebbero ancor più incerto il quadro, già assai complesso.
Con le banche che resteranno chiuse, la situazione economica che precipiterà ancora più in basso e con l'aumentare del disagio e della sofferenza della popolazione, non è da escludere il fatto che le autorità europee vogliano in qualche modo far aumentare il malcontento intorno al governo, in modo da indurlo alle dimissioni e alla sostituzione con un governo, magari di unità nazionale, senza passare per il voto popolare (cosa già avvenuta anche in altri paesi -es. Italia- seppur in contesti diversi). E da qui riaprire i negoziati con un governo più credibile agli occhi dei creditori. Insomma, un casino di proporzioni inimmaginabili.
Vorrei ricordare che dietro ogni "casino di proporzioni inimmaginabili" la soluzione è (storicamente) sempre la stessa.
RispondiEliminaIntervengono i "soliti" salvatori della patria: i GENERALI.
Possono farlo col (metodo italiano) già sperimentato il 13 novembre 2011 o col metodo cileno.
Il risultato è garantito in ogni caso.
Tanto che siano generali o tecnici dietro c'è sempre il solito uomo : MILTON FRIEDMAN ( shock economy)
EliminaDomanda : cosa avevano in comune il secolo scorso questi 4 paesi : Grecia,Italia,Spagna,Portogallo?
EliminaA dire il vero anche un quinto paese faceva parte della compagnia. Ma questo da sempre e' abituato a comandare e da sempre..............perde la guerra. Come mai?