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Gonfiare ad arte
previsioni di crescita per i prossimi anni (come è stato fatto negli ultimi
DEF), in visione prospettica, rende il quadro di sostenibilità delle finanze
pubbliche assai più roseo rispetto a quello che altrimenti sarebbe. Per il
semplice fatto che, ampliare la base imponibile (maggiore PIL), ha come ovvia
conseguenza anche un aumento delle entrate fiscali, determinando un miglioramento dei deficit, senza che ciò derivi da un inasprimento delle
aliquote fiscali.
Una pratica come quella appena descritta e ritualmente posta in essere dai
governi, contribuisce anche a determinare un maggior interesse nell'acquisto
del debito italiano da parte degli investitori, che comunque sanno (o meglio
dovrebbero sapere) che si tratta di previsioni di crescita del tutto
irrealizzabili, o per meglio dire farlocche. Anche perché, se fosse lo stesso
governo a disegnare un quadro di sostenibilità delle finanze pubbliche a tinte
fosche (cioè più verosimile alla realtà), chi mai avrebbe interesse ad
investire sul debito pubblico italiano, se non con un rendimento che incorpori
anche un maggior premio di rischio?
Quindi, banchieri compiacenti, ancorché conoscano (o quantomeno lo sospettino)
che i dati sulla crescita sono del tutto inverosimili, acquistano ugualmente il
debito pubblico. Perché sanno che il governo, all'occorrenza e in caso di
necessità, in virtù dell'autorità che ha di imporre tasse -nelle forme più
fantasiose possibili, patrimoniali comprese- sarà sempre disponibile ad intermediare
ricchezza (quella degli italiani, nello specifico)e ripagare il debito nei
confronti degli investitori.
Ma siccome il Governo ben conosce che i dati sono del tutto dissociati dalla
realtà e che le ipotesi sono irrealizzabili e destinate a naufragare aprendo
buchi nel bilancio dello stato, allora anticipa gli eventi. Quindi vara manovre
in modo che, quando ci si accorgerà del
naufragio delle previsioni di crescita, tutto sarà già più o meno sotto
controllo. Perché, è chiaro: le clausole di salvaguardia servono proprio a
questo. Salvo ulteriori manovre e quindi altre tasse.
Tutto questo per dirvi che è uscito il dato sul PIL del terzo trimestre, diminuito dello 0,1%
rispetto al trimestre precedente e dello 0,4% rispetto allo stesso trimestre del 2013. Si stratta del diciannovesimo calo negli ultimi 27 trimestri. Una catastrofe, insomma.
Da Istat:
Nel terzo trimestre del 2014 il prodotto interno lordo (PIL), espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2005, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente e dello 0,4% nei confronti del terzo trimestre del 2013.Il calo congiunturale è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto nel comparto dell'agricoltura e dell'industria e di un aumento nei servizi. Dal lato della domanda, vi è un contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte), parzialmente compensato da un apporto positivo della componente estera netta.Il terzo trimestre del 2014 ha avuto quattro giornate lavorative in più del trimestre precedente e lo stesso numero di giornate lavorative rispetto al terzo trimestre del 2013.Nello stesso periodo il Pil è aumentato in termini congiunturali dell'1,2% negli Stati Uniti e dello 0,7% nel Regno Unito. In termini tendenziali, si è registrato un aumento del 3,9% negli Stati Uniti e del 3,0% nel Regno Unito.La variazione acquisita per il 2014 è pari a -0,3%.
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