di Paolo
Cardenà - In questo miserabile paese, se c'è una cosa che rimane
abbondantemente sempre sui livelli di massimo allarme, questo è proprio lo
spread dei neuroni rispetto ad un livello di media intelligenza umana e sapere
economico, del tutto latente. Nelle settimane scorse, sulla stampa, si è letto che, siccome lo spread tra Btp e
Bund scende, questo, comporta automaticamente un calo del costo degli
interessi che lo stato paga sul debito pubblico; avallando, quindi, la bontà
delle manovre varate dai vari governi in questi anni, attribuendone meriti
all'azione dei vari governi, da quello Monti, fino a Letta.
A parte il fatto che questo costituisce un falso
storico, ciò che ha consentito la diminuzione dello spread, va ricercato
principalmente nelle manovre delle banche centrali e soprattutto della BCE,
anche attraverso la minacciata (per ora) possibilità di intervenire sul
mercato attraverso le OMT. Perchè, si sa, la speculazione può fare ben
poco, contro la potenza di fuoco messa in campo da una banca centrale, benché
giochi con un braccio legato dietro la schiena. Ad ogni buon conto,
tornando al tema di fondo, va precisato che un calo dello spread, non significa
automaticamente un calo del costo al servizio del debito. Infatti, lo spread,
altro non è che una variabile che misura la differenza tra il rendimento del
Btp decennale e il Bund tedesco, anche quest'ultimo
soggetto a variare in ragione a una moltitudine di variabili economiche e di
mercato.
Ne
consegue che se diminuisce lo spread, ma al tempo stesso il rendimento del Bund
tedesco aumenta - come in effetti sta avvenendo- , l'aumento del rendimento del
Bund vanifica (in tutto, o in parte) il ripiegamento dello spread. Se
all'aumento del rendimento del Bund non si contrappone un calo dello spread più
che proporzionale, ne deriva che il costo del debito aumenta, anziché
diminuire.
Certamente monitorare l’andamento
dello spread tra BTP e Bund è utile per avere un’idea di come il mercato
quantifichi il maggior rischio del debitore Italia in relazione alla Germania,
ma se si ragiona di spesa per interessi ed effetti sul deficit del bilancio
dello Stato è bene considerare il costo effettivo a cui si finanzia il Tesoro,
non il maggior costo rispetto alla Germania.
E' anche vero che una
riduzione non temporanea dello spread tra i rendimenti dei titoli di Stato
dovrebbe comportare una riduzione anche del maggior costo dei finanziamenti per
gli emittenti privati italiani rispetto a quelli tedeschi, con ciò riducendo il
gap di competitività.
Concludendo, quando si fanno i
conti sulla spesa per interessi quello che conta è il costo effettivo del
debito, non la differenza rispetto al costo di altri Stati. Bene dunque
guardare allo spread, ma meglio evitare di credere (o far credere) che il suo
calo comporti sempre e comunque un risparmio nella spesa per interessi.
LETTURE SUGGERITE
Tutto giusto Paolo! Ricordo che a una domanda diretta di un giornalista, Monti ebbe a dire (bontà sua) che lo spread era un concetto troppo complesso per poterlo spiegare in una tribuna politica. Invece è relativamente semplice, se si ha l'onestà di spiegarlo bene ai cittadini... sempre che ci sia qualcuno che vuole ascoltare.
RispondiEliminaSempre che ci sia qualcuno che vuole ascoltare... :-)
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