Salviamo
l'Europa: Sciogliamo l'Euro
Un articolo di tre economisti europei pubblicato da Bloomberg considera
lo smantellamento dell'euro - o almeno l'uscita dei paesi più forti - non come
la fine dell'Europa, ma al contrario come un modo per salvarla
di Brigitte Granville, Hans-Olaf Henkel and Stefan
Kawalec
Alla vigilia della
guerra civile americana, Abraham Lincoln pronunciò la famosa frase "una
casa divisa non può stare in piedi." Oggi, l'Unione Europea - impegnata da
decenni alla ricerca di un' "unione sempre più stretta" - deve confrontarsi
con una straziante verità. La massima di Lincoln deve essere letta al
contrario. Affinché l'UE possa sopravvivere, l'euro si deve sciogliere.
Grecia, Spagna, Portogallo, Italia e Cipro sono intrappolati nella recessione e non possono riconquistare la competitività svalutando le loro monete. Le economie del nord della zona euro hanno dovuto partecipare a ripetuti salvataggi mettendo da parte ogni principio di finanza prudente. Un circolo vizioso di risentimento e populismo a sud e un rafforzamento del nazionalismo a nord stanno lacerando l'unione.
E la crisi non è ancora finita. La Francia, la seconda economia più grande d'Europa, sta sprofondando in una grave crisi economica. Come i paesi del sud, deve riguadagnare competitività, ma come loro, essendo parte del sistema dell'euro, manca dello strumento necessario. A causa delle sue dimensioni e per il ruolo guida che ha avuto nell'evoluzione dell'UE, la Francia, come sosteniamo nella parte 2 di questo articolo, sarà fondamentale per spezzare il circolo vizioso.
Gap di Competitività
Prima, però, che cosa è andato storto? La moneta unica europea si supponeva dovesse facilitare il funzionamento dell'economia europea. Con la fissazione del tasso di cambio nominale e l'eliminazione del rischio di cambio, l'euro avrebbe dovuto realizzare la convergenza tra le economie più forti e quelle più deboli dell'eurozona - il cosiddetto centro e periferia. Il capitale sarebbe fluito dai paesi in surplus nei conti con l'estero verso i paesi nella necessità di prendere in prestito, aumentando la produttività e la crescita.
Prima, però, che cosa è andato storto? La moneta unica europea si supponeva dovesse facilitare il funzionamento dell'economia europea. Con la fissazione del tasso di cambio nominale e l'eliminazione del rischio di cambio, l'euro avrebbe dovuto realizzare la convergenza tra le economie più forti e quelle più deboli dell'eurozona - il cosiddetto centro e periferia. Il capitale sarebbe fluito dai paesi in surplus nei conti con l'estero verso i paesi nella necessità di prendere in prestito, aumentando la produttività e la crescita.
La realtà è stata
diversa. La moneta unica ha fissato - anzi, ha peggiorato - il divario di
competitività causato dalle differenze nei tassi di inflazione e nei costi
unitari del lavoro. Gli squilibri esteri sono cresciuti. Nel 1999-2011, i costi
unitari del lavoro (le retribuzioni per unità di prodotto) in Grecia, Spagna,
Portogallo e Francia sono aumentati rispetto alla Germania dal 19 al 26 per cento.
Nei paesi meno competitivi, questo ha prodotto dei deficit delle partite correnti dal 2 al 10 per cento del prodotto interno lordo nel 2010, e un avanzo delle partite correnti in Germania del 6 per cento del PIL. Avendo escluso la possibilità di svalutare, questi squilibri possono essere affrontati solo in due modi – o con la "svalutazione interna" o attraverso trasferimenti transfrontalieri.
Nei paesi meno competitivi, questo ha prodotto dei deficit delle partite correnti dal 2 al 10 per cento del prodotto interno lordo nel 2010, e un avanzo delle partite correnti in Germania del 6 per cento del PIL. Avendo escluso la possibilità di svalutare, questi squilibri possono essere affrontati solo in due modi – o con la "svalutazione interna" o attraverso trasferimenti transfrontalieri.
Svalutazione interna
significa che i paesi in deficit cercano di riguadagnare competitività
attraverso la riduzione della spesa pubblica e l'aumento della pressione
fiscale, che sperano possa abbassare i prezzi e i salari in crescita. L'effetto
a breve termine sarà quello di indebolire la domanda interna.
A meno che non vi sia una compensazione derivante dall'aumento della domanda estera - con i paesi in surplus, in particolare la Germania, che intraprendono una politica di stimolo che aumenti un po' l'inflazione - un' "austerità" di questo tipo metterà a repentaglio la crescita economica e, quindi, le finanze pubbliche dei paesi in deficit. Tuttavia, non vi è alcuna prospettiva che la Germania - insieme agli altri paesi economicamente simili nella zona nord dell'euro - possa accettare di attuare un tale stimolo, in quanto ciò sarebbe in contrasto con la sua cultura politica ed economica. Ciò farà aumentare i dubbi sulla sostenibilità finanziaria del debito pubblico dei paesi in deficit e sulla sostenibilità politica delle loro politiche di svalutazione interna.
A meno che non vi sia una compensazione derivante dall'aumento della domanda estera - con i paesi in surplus, in particolare la Germania, che intraprendono una politica di stimolo che aumenti un po' l'inflazione - un' "austerità" di questo tipo metterà a repentaglio la crescita economica e, quindi, le finanze pubbliche dei paesi in deficit. Tuttavia, non vi è alcuna prospettiva che la Germania - insieme agli altri paesi economicamente simili nella zona nord dell'euro - possa accettare di attuare un tale stimolo, in quanto ciò sarebbe in contrasto con la sua cultura politica ed economica. Ciò farà aumentare i dubbi sulla sostenibilità finanziaria del debito pubblico dei paesi in deficit e sulla sostenibilità politica delle loro politiche di svalutazione interna.
L' esempio della
Lettonia
La Lettonia e
l'Islanda dimostrano come possono essere pesanti i costi economici e sociali
della svalutazione interna, rispetto ai costi di una svalutazione esterna, o
del cambio. Dal 2008 al 2010, il PIL in Islanda è diminuito solo della metà
(svalutazione esterna) di quanto è diminuito in Lettonia (svalutazione
interna).
L'occupazione è scesa del 5 per cento in Islanda contro il 17 per cento in Lettonia. I sostenitori dell'euro possono anche dire che la svalutazione interna sta cominciando a funzionare - nei paesi in crisi dell'eurozona come la Grecia i salari reali hanno iniziato a diminuire rapidamente e le riforme strutturali hanno cominciato ad aumentare la produttività. Tuttavia, non è chiaro se la tolleranza politica della Lettonia per il collasso della produzione, dell'occupazione e dei redditi può essere riprodotta anche altrove.
L'occupazione è scesa del 5 per cento in Islanda contro il 17 per cento in Lettonia. I sostenitori dell'euro possono anche dire che la svalutazione interna sta cominciando a funzionare - nei paesi in crisi dell'eurozona come la Grecia i salari reali hanno iniziato a diminuire rapidamente e le riforme strutturali hanno cominciato ad aumentare la produttività. Tuttavia, non è chiaro se la tolleranza politica della Lettonia per il collasso della produzione, dell'occupazione e dei redditi può essere riprodotta anche altrove.
L'alternativa
principale sono i trasferimenti. I paesi in deficit possono attutire la loro
contrazione con dei trasferimenti dai paesi in surplus, invece che con la
svalutazione interna. Il problema è che tali trasferimenti non saranno più
indolori.
Prima del 2008, essi hanno assunto la forma di prestiti privati transfrontalieri ai governi e alle banche, che in molti casi hanno preso in prestito i soldi offrendo immobili come garanzia. Da quando nel 2008 è scoppiata la bolla del credito, questi flussi finanziari privati sono stati sostituiti da trasferimenti dai bilanci statali, che hanno fatto lievitare i deficit di bilancio e le passività implicite dei Paesi periferici nel sistema dei pagamenti della Banca Centrale Europea (noto come Target2). Senza i trasferimenti dalla Germania e dagli altri paesi del nord, la posizione fiscale di molte economie non competitive della zona euro è diventata insostenibile.
Prima del 2008, essi hanno assunto la forma di prestiti privati transfrontalieri ai governi e alle banche, che in molti casi hanno preso in prestito i soldi offrendo immobili come garanzia. Da quando nel 2008 è scoppiata la bolla del credito, questi flussi finanziari privati sono stati sostituiti da trasferimenti dai bilanci statali, che hanno fatto lievitare i deficit di bilancio e le passività implicite dei Paesi periferici nel sistema dei pagamenti della Banca Centrale Europea (noto come Target2). Senza i trasferimenti dalla Germania e dagli altri paesi del nord, la posizione fiscale di molte economie non competitive della zona euro è diventata insostenibile.
Tali trasferimenti
proverranno dal denaro dei contribuenti - fornito sia direttamente attraverso
il Meccanismo Europeo di Stabilità, sia indirettamente attraverso le
banche dei paesi creditori. (Nel caso che le banche creditrici dovessero
accettare qualche forma di ristrutturazione del debito sovrano, le banche
dovranno essere ricapitalizzate con denaro fornito dai contribuenti nei paesi
di origine.)
Questa prospettiva è dinamite politica. Quindi tali trasferimenti sono subordinati a una rigorosa disciplina di bilancio e alle riforme strutturali. Nonostante le rigide condizionalità, i contribuenti / elettori nei paesi creditori come la Germania potrebbero non adattarsi mai all'idea, creando il rischio di una reazione anti-europea. Una reazione del genere diventerebbe una certezza nel caso fin troppo probabile che le regole venissero trasgredite o messe da parte.
Questa prospettiva è dinamite politica. Quindi tali trasferimenti sono subordinati a una rigorosa disciplina di bilancio e alle riforme strutturali. Nonostante le rigide condizionalità, i contribuenti / elettori nei paesi creditori come la Germania potrebbero non adattarsi mai all'idea, creando il rischio di una reazione anti-europea. Una reazione del genere diventerebbe una certezza nel caso fin troppo probabile che le regole venissero trasgredite o messe da parte.
Stampare Moneta
Molti governi dei
paesi debitori preferirebbero avere dei trasferimenti sotto forma di denaro
stampato dalla BCE - con minori, eventuali, limiti. I funzionari francesi
l'hanno detto esplicitamente. Ma il meglio che possono sperare sono gli
acquisti di titoli di Stato a breve termine da parte della BCE (note come
outright monetary transactions). Se dovessero essere attuati, questi saranno
soggetti alle stesse rigide condizioni fiscali applicate ai trasferimenti dal
MES.
Quindi, le prospettive per i Paesi debitori della zona euro sono di un inasprimento fiscale implacabile e di anni di domanda carente. Ciò si tradurrà in una contrazione o, nella migliore delle ipotesi, una stagnazione della produzione e degli standard di vita. Nel frattempo, sta crescendo il sentimento anti-UE e in particolare anti-tedesco – come dimostrano le scene per le strade di Nicosia dopo la crisi di Cipro.
Quindi, le prospettive per i Paesi debitori della zona euro sono di un inasprimento fiscale implacabile e di anni di domanda carente. Ciò si tradurrà in una contrazione o, nella migliore delle ipotesi, una stagnazione della produzione e degli standard di vita. Nel frattempo, sta crescendo il sentimento anti-UE e in particolare anti-tedesco – come dimostrano le scene per le strade di Nicosia dopo la crisi di Cipro.
Gli Stati Uniti
d'Europa potrebbero salvare la situazione? Alcuni tra i primi fautori dell'euro
hanno riconosciuto alla fine degli anni '90 che il progetto comportava che
"l'economia doveva guidare la politica." Essi vedevano la moneta
unica come un modo per mettere il continente su un percorso irreversibile verso
una piena unione politica - un obiettivo che gli elettori europei avrebbero
rifiutato se gli fosse stato chiesto in maniera diretta.
Una maggiore mobilità del lavoro potrebbe essere uno degli elementi di questa unione. Si potrebbero immaginare le popolazioni dei paesi depressi come la Grecia, il Portogallo, la Spagna e l'Italia, emigrare verso i paesi ricchi come la Germania e la Finlandia. In questo scenario, interi paesi potrebbero finire per somigliare a delle spopolate regioni rurali - come quelle regioni della Francia, negli anni del dopoguerra, che i giovani ben istruiti abbandonavano in massa spostandosi verso le città e lasciando dietro di sé una popolazione invecchiata, pesantemente dipendente dalle assicurazioni sociali. Le barriere linguistiche e culturali rendono comunque improbabile questa forma di aggiustamento economico.
Invece, gli
appassionati dell'euro puntano le loro speranze su una unione fiscale. I
trasferimenti dovrebbero prendere il posto delle migrazioni - e un nuovo quadro
di responsabilità politica dovrebbe prevenire gli abusi (il cosiddetto problema
del free-rider) e gestire le tensioni. Purtroppo, anche se questo sarebbe
possibile, le divergenze di competitività rimarrebbero.
Consideriamo i casi della Germania orientale e del sud Italia. Nella riunificazione tedesca del 1990, i salari della ex Germania orientale sono stati convertiti in marchi tedeschi 1-a-1, abbattendo in un colpo solo la competitività della Germania orientale.
Consideriamo i casi della Germania orientale e del sud Italia. Nella riunificazione tedesca del 1990, i salari della ex Germania orientale sono stati convertiti in marchi tedeschi 1-a-1, abbattendo in un colpo solo la competitività della Germania orientale.
Trasferimenti tedeschi
In ciascuno degli
anni seguenti la riunificazione, la Germania orientale ha ricevuto trasferimenti
per il 4 per cento del PIL tedesco. Eppure la convergenza non c'è stata -
persone giovani e istruite continuano a migrare verso la Germania occidentale.
Nemmeno nel Sud Italia c'è stata convergenza, nonostante decenni di
trasferimenti. La disoccupazione è il doppio di quella del Nord Italia, e il
PIL privato pro capite è meno della metà.
E poi c'è la politica. I paesi non competitivi dell'eurozona non possono sperare di ricevere trasferimenti del valore del 25 per cento del loro PIL ogni anno, come la Germania orientale, o anche del 16 per cento del PIL, come nel sud Italia.
Qualcosa deve cedere
- e dovrà essere il sistema dell'euro. Per preservare l'Unione europea,
l'Unione monetaria deve essere smantellata. Il parallelo storico fin troppo
rilevante è la difesa del gold standard nel periodo tra le due guerre, che
arrivò quasi a distruggere la democrazia in tutto il mondo. Un solo paese può
plausibilmente prendere l'iniziativa a favore di una divisione controllata del
sistema dell'euro per mezzo di un'uscita comune e concordata dei paesi più
competitivi. Questo paese è la Francia.
Ancora una volta, come avremo modo di spiegare nella parte 2, il destino dell'Europa è nelle mani delle élite francesi. In linea con le sue migliori tradizioni politiche della "Fraternité", la Francia dovrebbe promuovere una nuova strategia nel segno non del nazionalismo, ma di una solidarietà europea.
Una divisione del sistema dell'euro sarebbe nel migliore interesse sia della Francia che dell'Europa, perché accelerebbe il ritorno alla crescita economica dell'UE - l'unica sicura garanzia di stabilità e unità europea.
Ancora una volta, come avremo modo di spiegare nella parte 2, il destino dell'Europa è nelle mani delle élite francesi. In linea con le sue migliori tradizioni politiche della "Fraternité", la Francia dovrebbe promuovere una nuova strategia nel segno non del nazionalismo, ma di una solidarietà europea.
Una divisione del sistema dell'euro sarebbe nel migliore interesse sia della Francia che dell'Europa, perché accelerebbe il ritorno alla crescita economica dell'UE - l'unica sicura garanzia di stabilità e unità europea.
La
Francia ha contribuito in modo decisivo alla costruzione non solo
del sistema dell'euro, ma dell'intero progetto europeo. Di
conseguenza ciò ha fatto sì che i leader francesi agissero nel senso di
preservare l'euro a tutti i costi. Costi, che come
abbiamo spiegato nella Parte 1 di questo articolo, sono diventati alquanto
insopportabili. Si rende quindi necessaria una nuova strategia, e
nel definirla il ruolo guida della Francia risulterà ancora
una volta fondamentale.
Nell’Eurozona la Francia si trova al
limite tra i paesi in deficit e paesi in Surplus.
Possiede un vasto e costoso sistema di welfare,con
dei servizi pubblici di alta qualità, spesso definiti come il modello
francese, sistema che si basa su di un consenso profondo e
sentito da parte dei cittadini. Ma a differenza dei paesi scandinavi, che pure
sono orientati ad un sistema di costosowelfare,
quello francese è stato finanziato non da un alto livello di tassazione sul
reddito e sulla spesa, ma da onerose tasse sull’occupazione (in particolare
attraverso i contributi previdenziali dei datori di lavoro), sui
capitali, e con un pesante indebitamento pubblico.
Il
debito pubblico nel 2012 è salito a circa il 90 per cento, da circa il 64 per
cento che era nel 2007. Questo insistere sulla tassazione del
lavoro si spiega in quanto costituisce il percorso di minor
resistenza politica. Così facendo si dà l'illusione che
lo stato sociale venga finanziato dalle imprese e non dai
cittadini. L'idea che la tassazione delle aziende sia un modo
indolore per finanziare il welfare e i servizi pubblici ha
prodotto una cronica elevata disoccupazione, una crescita
debole, ha eroso la competitività e condotto il tenore di
vita, nel migliore dei casi, alla stagnazione.
Un'Eccessiva
Regolamentazione Normativa
La Ile-de-France [N.d.t.
la regione francese con capoluogo Parigi], ha il più alto costo medio del
lavoro in Europa. Il problema è aggravato dall’eccesso di regolamentazione
– sia sul lavoro che sul mercato dei beni e dei servizi. Il
controllo su trasporti, servizi professionali e rivenditori è molto più pesante
in Francia che in molti altri paesi ricchi. Con il risultato di
avere maggiori costi e prezzi più alti.
Questi
oneri soffocano l'imprenditorialità. L’offensiva fiscale del
presidente Francois Hollande nei confronti degli alti redditi, dividendi,
plusvalenze e ricchezza non aiuta. La fiducia negli affari sta
rapidamente crollando. Negli ultimi dieci anni, la quota di esportazioni della
Francia è diminuita. Il paese si trova in deficit delle partite correnti.
L'economia
francese ha bisogno di uno "shock dal lato
dell'offerta". In questo consisteva la raccomandazione contenuta
in una relazione dell’anno scorso di Louis Gallois - un leader
industriale di sinistra. Al posto di effettuare importanti e
permanenti tagli ai contributi al welfare da parte delle imprese sollecitati da
Gallois, il governo ha annunciato un complicato sistema di crediti d'imposta
temporanei, subordinati al riutilizzo dei rimborsi a fini di investimento e
nuove assunzioni di lavoratori. Questo approccio non è in grado di
correggere le annose e gravi distorsioni del sistema fiscale. In
ogni caso, la complessità della proposta implica che le aziende non trarranno
alcun beneficio fino al 2014-15.
Nel
mese di gennaio, i datori di lavoro e sindacati hanno firmato un accordo che
alleggerisce la regolamentazione del lavoro e offre alle imprese maggiore
flessibilità nel ridurre l'orario di lavoro ed i salari in cambio della
conservazione dei posti di lavoro.
Questo
è già qualcosa, ma la maggior parte delle ulteriori nuove misure per
stimolare la competitività si riducono a nuove forme di dirigismo. Per contro,
invece, la Francia avrebbe bisogno di fondamentali riforme
strutturali [N.d.t. Ahia! Ho sentito una fitta al fegato…] -
di una minore spesa pubblica [N.d.t. …bbbrrutttta], e di uno
spostamento della tassazione dal fronte lavoro al fronte dei consumi.
Ma
c'è un problema - ed è un grande problema. L'effetto immediato di un tale
programma sarebbe di indebolire la domanda interna e rallentare la
crescita economica.Occorrerebbe quindi attivare anche degli “Stimoli
alla domanda”.
Il
governo potrebbe far ciò da un lato allentando nel breve
termine la politica di bilancio e dall’altro stimolando la domanda estera
attraverso la svalutazione della moneta. Ma nell’attuale sistema Euro ciò non
è possibile: infatti, da un lato le regole sul deficit
vincolano la politica fiscale, e dell’altro la Francia
non ha più una moneta propria da svalutare. Dal momento che altre
strade non ve ne sono, finirà che sarà il sistema euro stesso a
dover cedere il passo.
L’Uscita della Germania
Per la Francia e per il sistema dell'euro nel suo insieme, la strategia migliore sarebbe quella di smantellare l'Unione monetaria dall'alto - tramite l'uscita della Germania e degli altri paesi più competitivi. La conseguente rivalutazione della nuova moneta tedesca migliorerebbe le bilance commerciali dei paesi in disavanzo.
In
alcuni casi, si renderebbero comunque necessarie operazioni
di cancellazione del debito, ma l’entità dell’impatto ed i
costi per i creditori sarebbero contenuti, in quanto lo smantellamento della
moneta unica stimolerebbe la crescita dei paesi in deficit. I
paesi in surplus dovrebbero ricapitalizzare le loro banche per fare fronte alle
perdite subite a causa di eventuali cancellazioni del debito, in
modo tale che uscire dal sistema non significherebbe abbandonare i paesi
in crisi. La differenza sarebbe che, dopo lo scioglimento, la
loro assistenza potrebbe contribuire a rimettere i paesi in deficit sulla via
del risanamento, mentre i salvataggi attuali portano solo in un vicolo
cieco.
La
Banca centrale europea dovrebbe adoperarsi nel mantenere la
credibilità e la fiducia nel corso dello smantellamento controllato dell'euro.
La BCE, almeno per qualche tempo, potrebbe essere mantenuta in
qualità di banca centrale responsabile della politica monetaria in tutti i 17 paesi
membri, anche dopo il ritorno di alcuni paesi alle valute
nazionali.
Ciò
faciliterebbe un forte coordinamento delle politiche tra gli ex membri, facendo
passare l’idea che più che una frantumazione, si tratterebbe di
una trasformazione effettuata ordinatamente e sotto il controllo
della istituzione europea più rispettata e credibile.
Molti
osservatori ammettono che l'euro è stato un errore, ma parimenti non credono vi
sia la possibilità di recedere. Essi ritengono che la dissoluzione
dell'unione monetaria porterebbe al caos economico, prima in Europa e poi in
tutto il mondo. I leader europei hanno inoltre paura che il tornare sui propri
passi darebbe anche un colpo mortale alla grande causa dell'integrazione
europea e potrebbe essere l'inizio della fine della UE e del mercato unico.Sono
questi i timori che spingono a perseverare in quella che
consideriamo una disastrosa strategia di difesa dell’Euro a
tutti i costi.
Sebbene una
dissoluzione controllata del sistema euro dovuta all’uscita dei
paesi più competitivi sia il modo più efficace per aiutare i paesi in deficit,
essa si configura sostanzialmente come una decisione unilaterale, dei Forti
di abbandonare i Deboli. La passata Storia europea rende difficile per i leader
della Germania avviare un simile percorso.
Salvaguardare la Francia
Nell’intraprendere
eventuali iniziative in tal senso, i paesi in deficit, alle prese con la
recessione e le divisioni politiche interne, nel tentativo di
ottenere migliori condizioni di assistenza dal resto dell'UE, potrebbero avere
paura di peggiorare la loro posizione negoziale. Le Istituzioni europee,
come la Commissione europea e la BCE, non possono patrocinare la soluzione che
proponiamo.
Viceversa
se la proposta venisse avanzata dalla leadership
francese, la cosa potrebbe funzionare - e potrebbe essere
anche l'unica cosa da fare. Per più di 50 anni la Francia ha svolto
un ruolo di primo piano nell'integrazione europea. Si può dire che l’Euro sia
per molti aspetti un prodotto Francese.
Nel
1990, il presidente Francois Mitterrand si guadagnò il sostegno alla
moneta unica da parte del cancelliere Helmut Kohl in cambio della accettazione
Francese alla riunificazione Tedesca. Convincere la Germania ad abbandonare il
marco, la cui forza aveva di fatto dato alla Bundesbank il controllo della
politica monetaria in tutta l'Europa, è stato un notevole successo francese - o
almeno così pensavano i Francesi.
L'euro
era visto come la pietra angolare dell'edificio di integrazione europea. La
crisi finanziaria e le sue conseguenze hanno viceversa dimostrato che l'euro ha
in sè il potenziale di distruggere l'intero progetto. Esso impedisce le riforme
necessarie per ristabilire la competitività internazionale della Francia,
competitività attualmente in dissolvimento. Mantenere l'attuale sistema
euro a tutti i costi, finirà per paralizzare l'economia francese,
annullarne la coesione sociale, e indebolirne la posizione in Europa
e nel mondo.
In
qualità di padre fondatore dell'Europa, solo la Francia ha l’autorevolezza
necessaria per poter sostenere con successo una strategia di smantellamento del
sistema dell'euro per il bene stesso dell'Unione europea. L'alternativa è il
fallimento economico, divisioni più profonde e amari rancori
tra le nazioni d'Europa, mettendo così a rischio le più preziose conquiste
dell'integrazione europea. In un modo o nell’altro, l'Europa si dividerà.
Resta
solo da capire se verrà spazzata via completamente o solo in parte. Smantellare l'euro
nel modo che noi proponiamo è di vitale importanza al fine di
garantire la sopravvivenza dell'idea europea.
Fonte: Voci dall'estero
LETTURE SUGGERITE
Considerando l'inflessibilita' tedesca tutti i dubbi sono giustificati.
RispondiEliminaIl problema non è solo l.unione europea che usa una moneta non sovrana e che non ha due banche centrali separate statale e privata...il problema è il sistema monetario internazionale dai trattati sul Fmi e banca mondiale e sull.immunità degli organismi internazionali che possono fare quello che vogliono senza adattarsi ai principi generali inderogabili la c.d.ius cogens internazionale ponendosi sopra la sovranità dei popoli
RispondiElimina