di Paolo Cardenà -
Mentre cresce l'attesa per gli esiti del vertice europeo al quale, anche dal mondo politico (ed incautamente), è stato attribuito
il compito di salvare la moneta unica dal collasso, cresce anche la
consapevolezza che, con ogni probabilità,
assisteremo all'ennesimo nulla di fatto e all'ennesimo fallimento del
vertice. I vari Paesi sembrano essere
più che altro intenti a contrapporre i rispettivi veti a difesa
delle proprie posizioni e dei propri interessi, piuttosto che tentare di
risolvere una crisi che sta portando nel baratro l'intero continente, con effetti planetari catastrofici.
Con i vari Paesi impegnati a contrapporsi nelle rispettive
logiche che, quantomeno, testimoniano lo sfaldamento degli intenti di
convergenza alla soluzione della crisi del debito, emerge la Grecia che con il
nuovo governo del Premier Samaras ha già fatto sapere che intende chiedere alla
Ue un differimento di 2 anni degli impegni di risanamento concordati con la
Troika. Sul fronte iberico, con la Spagna che ha già ufficializzato alla Ue la
richiesta di aiuti per il salvataggio delle proprie banche fino a 100 miliardi
di euro, gli eventi sembrano ormai precipitare e non sorprenderebbe affatto
dover constatare, nei prossimi giorni o nelle prossime settimane, che gli aiuti
alle banche spagnole si rileveranno del tutto inadeguati per il salvataggio del
sistema bancario spagnolo. C'è da dire che, ammesso che si riesca nell'intento
di ripristinare condizioni di apparente solvibilità delle banche spagnole, non
è da escludersi un salvataggio dello Stato spagnolo che, con tassi di disoccupazione prossimi a
livelli degni di una grande depressione e tassi di interessi ormai oltre la
soglia del 7%, è sempre più concreto il rischio che la Spagna possa perdere
l'accesso ai mercati e finanziare il debito in scadenza. In quest'ultima
ipotesi, dovrebbe intervenire in maniera consistente il fondo Salva Stati che
ha quel punto verrebbe pressoché prosciugato, compromettendo così la possibilità di salvataggio di altri Paesi
in difficoltà, Italia in testa, salvo ricapitalizzarlo attingendo risorse dagli
stessi Paesi bisognosi; ipotesi, quest'ultima, del tutto irreale, stando il
progressivo deteriorarsi delle condizioni di equilibrio dei bilanci dei
rispettivi Paesi. Senza comunque
dimenticare poi, che la polveriera italiana è ormai pronta ad esplodere con effetti
dirompenti a livello planetario.
Se è vero che la soluzione della crisi del debito passa
necessariamente per una maggiore integrazione bancaria, fiscale e politica dei
Paesi dell'eurozona (ma questo è comunque tutto da dimostrare), è altrettanto
vero che questo processo di "unificazione" richiederebbe anni, e comunque
tempi non conciliabili con quelli imposti dalla gravità della crisi. Senza
dimenticare che ad una simile unione non si è arrivati in 100 anni, nonostante due
guerre mondiali. A tal riguardo, ammesso che una unificazione europea sia
elemento idoneo a garantire la stabilità monetaria, economica, politica e
fiscale della zona Euro, occorrerebbero,
quantomeno, soluzioni che nell'immediato
possano domare l'incendio nella casa europea, favorendo la costruzione di un
"ponte di salvataggio", tale da permettere una pianificazione programmatica dei criteri e delle tappe di
convergenza, che dovrebbero comunque essere approvate e ratificate all'interno dei
singoli Paesi.
In tal senso, in assenza di una Banca Centrale Europea che
possa acquistare direttamente o indirettamente (anche attraverso il fondo salva stati al quale andrebbe conferita licenza bancaria) ed maniera pressoché illimitata i titoli di
stato dei Paesi in difficoltà, abbassandone i rendimenti, ogni tentativo di soluzione della crisi sarà
destinato a fallire miseramente, posto che la Germania ha reiteratamente confermato
la sua contrarietà alla mutualizzazione dei debiti sovrani attraverso lo
strumento degli eurobond.
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