Mentre i politici europei, i giornali e i media sembrano affetti dalla sindrome dell'ipocrisia collettiva e Sarkozy, addirittura, ci sta dando prova della virilità dei suoi neuroni regalandoci pillole della sua felicità per quello che egli definisce il "salvataggio della Grecia", a rimettere tutti con i piedini ben ancorati a terra ci ha pensato l'Istat venerdì scorso, fornendoci i dati sulla produzione industriale del mese di gennaio in Italia.
Il dato ha subito un tracollo di 5 punti percentuali rispetto allo stesso
periodo dell'anno precedente, marcando, ancor più segnatamente, l'aspra
contrazione che sta subendo il settore industriale e dicendoci che l'economia
si sta avvitando e contraendo sempre di più. Questo, fa seguito ad una
serie di altri indicatori economici che mostrano, in maniera pressoché univoca,
un quadro economico fortemente deteriorato, avvisandoci, senza alcuna
indulgenza, che la recessione in atto sarà ben più profonda di quanto
incautamente ipotizzato dalle previsioni governative.
Una contrazione più
accentuata della congiuntura economica provocherà un minor
gettito fiscale e quindi, a parità di spese, dei buchi di bilancio che, almeno per il momento,
sembrano destinati ad essere colmati a colpi di randellate nelle tasche degli italiani attraverso l'inasprimento fiscale, ormai al limite della
schizofrenia e dell'insostenibilità. Senza considerare poi l'annunciato
aumento dell'IVA al 23% per bocca del Viceministro Grilli, intervenuto poche
sere fa a Ballarò. Una vera follia e soluzione, questa, potenzialmente distruttiva per i consumi
che già viaggiano in uno stadio appena precedente il trapasso. Quindi, se
da un lato, perseguire politiche di rigore e di austerità fiscale,
favoriscono, almeno apparentemente, un immediato miglioramento degli
equilibri dei conti pubblici, dall'altro, se non compensate con politiche di
crescita e sviluppo, determinano ridimensionamenti della capacità di spesa
delle famiglie e delle imprese che saranno, in tal modo, inclini a guardare al
futuro con maggior prudenza e parsimonia. Quanto detto trova sostegno anche analizzando il crollo degli acquisti dei beni durevoli poichè, essendo l'acquisto di tali beni differibile in tempi migliori, ci rappresenta al meglio il clima di sfiducia dei consumatori e delle imprese. Questo è, in sintesi, il significato
che può attribuirsi ai dati forniti dall'Istat.
Per il momento, al di là della credibilità restituita all'Italia dall'autorevolezza del Governo Monti, si è potuto gioire anche di una sensibile riduzione del costo per gli interessi sui titoli di stato, con uno spread sui Bund tedeschi in forte ripiegamento e oggi in area 300 punti. Ma questa tendenza, salvo improbabili miracoli, non sarà destinata a durare nel tempo e a consolidarsi poiché, prima o poi, l'effetto LTRO BCE svanirà e a quel punto i mercati riprenderanno a guardare i fondamentali economici, valutandoci per quello che siamo realmente: una nazione in forte declino! Per il momento il default dell'Italia è stato evitato e nel frattempo, visto che del domani non c'è certezza, chi vuol esser lieto, lieto sia.
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